Veronika
è la conduttrice del laboratorio di movimento creativo a Piccola Piazza
d’Arti. Con le sue giovanissime allieve ha scelto di coreografare,
secondo la sua specifica disciplina, il brano Ederlezi/Dzurdzedan,
eseguendo questa performance durante il concerto dell’8 aprile “Pace di
tutti i colori”. In questo post ci racconta come è nata e cresciuta
questa proposta.
Quando ho ascoltato la canzone Ederlezi per la prima volta, ho subito capito che tra i brani proposti, quello sarebbe stato il mio. Dentro quella musica una nostalgia di fondo mi ha catturata. E’ scattato un meccanismo di riconoscimento corporeo antico, qualcosa che sentivo di poter condividere. Leggendo il testo e documentandomi sul progetto “Pace di tutti i colori“, ha iniziato a prendere forma un’idea di bellezza triste, che sentivo il bisogno di esprimere, di danzare. Un canto di festa, quello di Ederlezi, nella tragicità della prigionia. Un invito ai fiori della primavera, nonostante la fine. Un modo di resistere e di testimoniare attraverso la musica, la bellezza in grado di restituire dignità al viaggio senza ritorno di un popolo condannato alle atrocità di guerra che, cicliche come le stagioni, ripetono i loro abomini.
Ho
pensato alle file di uomini e donne con i loro bambini e alla impietosa
transumanza di corpi a cui ogni giorno assistiamo. Su questo scenario
le note di Ederlezi, il canto di un popolo intonato a cantilena che rinvigorisce gli animi durante lo spostamento di massa.
E’
da questo canto dei popoli e dai nostri bambini, Martina, Alessia,
Alice, Gloria, Emma, che ho sentito necessario far partire un gesto.
L’intenzione è quella di offrire un dono, la loro danza, a questa bella causa da vincere, la pace.
La
coreografia è la messa in forma di piccoli e significativi gesti di
desiderio alla vita, comunanza, sostegno, rispetto, dignità, amore. Una
camminata vicina, attenta e vigile agli altri, un movimento che è un
percorso di andata e ritorno, un attraversamento verso una meta,
l’incontro, il dialogo; il corpo in movimento dei bambini, il loro
incedere, a tratti troppo adulto, parla della tenacia a esprimere
i propri desideri, petalo dopo petalo, nella purezza
e semplicità tipica del gioco.
Il movimento continua, e si continua a danzare e a cantare insieme nonostante le tinte intorpidite di una primavera ancora troppo fredda.
Veronika
è la conduttrice del laboratorio di movimento creativo a Piccola Piazza
d’Arti. Con le sue giovanissime allieve ha scelto di coreografare,
secondo la sua specifica disciplina, il brano Ederlezi/Dzurdzedan,
eseguendo questa performance durante il concerto dell’8 aprile “Pace di
tutti i colori”. In questo post ci racconta come è nata e cresciuta
questa proposta.
Quando ho ascoltato la canzone Ederlezi
per la prima volta, ho subito capito che tra i brani proposti, quello
sarebbe stato il mio. Dentro quella musica una nostalgia di fondo mi ha
catturata. E’ scattato un meccanismo di riconoscimento corporeo antico,
qualcosa che sentivo di poter condividere. Leggendo il testo e
documentandomi sul progetto “Pace di tutti i colori“,
ha iniziato a prendere forma un’idea di bellezza triste, che sentivo il
bisogno di esprimere, di danzare. Un canto di festa, quello di Ederlezi,
nella tragicità della prigionia. Un invito ai fiori della
primavera, nonostante la fine. Un modo di resistere e di testimoniare
attraverso la musica, la bellezza in grado di restituire dignità al
viaggio senza ritorno di un popolo condannato alle atrocità di
guerra che, cicliche come le stagioni, ripetono i loro abomini.
Ho
pensato alle file di uomini e donne con i loro bambini e alla impietosa
transumanza di corpi a cui ogni giorno assistiamo. Su questo scenario
le note di Ederlezi, il canto di un popolo intonato a cantilena che rinvigorisce gli animi durante lo spostamento di massa.
E’
da questo canto dei popoli e dai nostri bambini, Martina, Alessia,
Alice, Gloria, Emma, che ho sentito necessario far partire un gesto.
L’intenzione è quella di offrire un dono, la loro danza, a questa bella causa da vincere, la pace.
La
coreografia è la messa in forma di piccoli e significativi gesti di
desiderio alla vita, comunanza, sostegno, rispetto, dignità, amore. Una
camminata vicina, attenta e vigile agli altri, un movimento che è un
percorso di andata e ritorno, un attraversamento verso una meta,
l’incontro, il dialogo; il corpo in movimento dei bambini, il loro
incedere, a tratti troppo adulto, parla della tenacia a esprimere
i propri desideri, petalo dopo petalo, nella purezza
e semplicità tipica del gioco.
Il
movimento continua, e si continua a danzare e a cantare insieme
nonostante le tinte intorpidite di una primavera ancora troppo fredda.
E’ pronta la seconda parte dell’intervista ai Déjà Vu. Sette domande per conoscere più approfonditamente la musica e i progetti di questo meraviglioso quartetto che ha realizzato a Piccola Piazza d’Arti il prorpio CD di esordio.
…SECONDA PARTE
Ora
veniamo al disco. Come nascono i brani dei Deja Vu? Oppure, se non c’è
una regola fissa, ci raccontate come ne è nato qualcuno di quelli
inseriti nella raccolta “Deja Vù Quartet” appena pubblicata?
Fabrizio:
Direi che il lavoro il lavoro di composizione dei brani è un lavoro
piuttosto semplice nella sua fase iniziale, poi come gruppo ci mettiamo
del nostro. Perché semplice? Perché Gianni, piuttosto nottambulo, di
notte si trova a suonare più che a dormire! E di notte compone. Ci fa
trovare dei brani, delle melodie, delle parti ben precise. O meglio, la
melodia di base è il frutto delle sue nottate, e noi quando arriviamo
lavoriamo attorno a questa, creando il giusto ritmo, i giusti assoli, le
giuste parti fra melodia e improvvisazione. Quindi i brani nascono
finora più o meno tutti nello stesso modo. Da un’idea di Gianni,
melodica principalmente, e poi dal nostro lavoro in sala prove.
Gianni: Le
composizioni si rivelano a noi stessi per il contributo di ciascuno.
Prendono forma partendo da una bella frase melodica o da un giro
armonico accattivante, per poi completarsi. Un risultato che spesso ci
sorprende. E ci gratifica.
Provo
ad approfondire la domanda precedente. Ascoltando i diversi brani del
disco si ha l’impressione di essere accompagnati in un percorso
immaginativo che ha per “guida” o centro tematico il titolo stesso del
brano. Penso a “Desierto”, “Frecciarossa”, “La giostra”, per citarne
alcuni. Senza l’aiuto della parola riuscite ad accompagnare
l’ascoltatore in un’ambientazione sonora, in un’paesaggio che si
costruisce nota dopo nota sul suono. Giocate assieme a lui, lo
trasportate. O perlomeno posso dire che questo è quanto ho vissuto io
nell’ascolto dei vari brani. Siete riusciti secondo me a non farvi
intrappolare dal bisogno di esibire a tutti i costi le vostre innegabili
capacità tecniche, che per musicisti bravi come voi può essere una
tentazione. Raggiungete così, a mio modestissimo parere, il risultato di
essere interessanti, di tenere “agganciato” l’ascoltatore per tutta la
durata del brano, in un buon equilibrio tra forma e sostanza.
Qual’è il ruolo dell’immagine visiva nella creazione della vostra
musica? Traete ispirazione da qualcosa o qualcuno in particolare?
Fabrizio: Dovremmo
sentire cosa ha da dire Gianni, il compositore delle nostre melodie. Mi
sento di poter dire che per i titoli ci siamo ispirati tutti e quattro a
quello che il brano ci suggeriva mentre lo creavamo in sala prove. Ci
siamo lasciati ispirare dalla musica. Per rimanere nella tua immagine,
ci siamo messi a “camminare” insieme e poi abbiamo detto: “Toh, siamo
arrivati qui!”.Abbiamo notato che la nostra musica ha una sua coerenza e
che anche tra un brano l’altro esiste un legame. I diversi brani ci
hanno portato ad ambientazioni che ricordano un po’ il viaggio. Un’alba,
una madrugada piuttosto che una giostra, un deserto o un Freccia Rossa.
Sono tutti aspetti legati al viaggio. Quando suoniamo questi brani
durante i nostri concerti ci capita di vedere le persone con gli occhi
chiusi e ci piace immaginare che attraverso la musica possiamo regalare
loro qualcosa: magari proprio “un viaggio”, per quanto immaginario.
Gianni:
Penso che certe melodie dei Deja Vu Quartet siano immaginifiche. Le
atmosfere di certi brani come “Desierto” fanno pensare ai colori
di un viaggio, o alle sfumature di luci ed ombre di certe foto in bianco
e nero. Ma anche i paesaggi interiori così ricchi di contrasti emotivi.
Le
sonorità del gruppo cercano di sedurre e di condurre “altrove”,
attraverso un ascolto leggero, ma non superficiale, accattivante, ma non
banale.
Federico:
Voglio solo aggiungere che ritengo anch’io il modo di fare assoli, di
costruire melodie e armonie di Gianni non tanto una dimostrazione di
virtuosismo, ma una ricerca di purezza, di bellezza. E’ come se ci fosse
un dialogo sonoro. Parliamo di assoli, ma si tratta anche di passaggi
ben precisi. Molto spesso gli assoli sono parti precise dello
svolgimento di un brano e per questo uguali in ogni concerto.
Ritengo
interessante il nostro progetto perché c’è un manifestarsi individuale,
ma c’è interplay, c’è l’espressione libera di ogni musicista ed allo
stesso tempo ci atteneniamo ad una struttura ben precisa per ogni brano
C’è spazio per tutti e tutti quanti ci impegniamo a rispettare quello
degli altri. Sento importante “stare dentro” all’armonia, anche per me
che suono strumenti che, solo apparentemente, non sono “obbligati” a
fare questo. Cerchiamo tutti e quattro di essere coerenti a un’idea
musicale e l’assolo in realtà ne è semplicemente un’espressione, è una
parte di noi stessi.
Le
etichette in musica sono spesso delle semplificazioni necessarie per
scopi commerciali. Vi siete definiti come un gruppo dell’area
“ethno-jazz”, ma quali sono gli elementi chiave del vostro stile
musicale potendo descriverli con più parole e non in un tag molto
sintetico come “ethno jazz”?
Fabrizio: Come
si chiama la nostra musica? Dare un nome o un genere a volte serve solo
per inscatolare la musica, per dargli un posto negli scaffali dei
negozi oppure per cercare di venderla a un locale, per spiegarsi.
Federico: a volte è obbligatorio, necessario…
Fabrizio: Che
musica è la nostra? Ethno, ethno world, jazz, ambient. A volte
l’abbiamo definita anche “world music” che vuol dire tutto e niente.
Torniamo al discorso di prima: in realtà, i tecnicismi, cioè quello che
ognuno di noi sa fare con il proprio strumento non prevaricano il brano,
ma cerchiamo semplicemente di inserire delle improvvisazioni dando il
meglio di noi. Non in maniera schematica o come per dire “Adesso
improvviso e vi faccio vedere quello che so fare!”. Tanto è vero che
alcuni brani hanno l’improvvisazione di tutti gli strumenti mentre altri
no. E’ il brano stesso ci porta su una strada; che a volte è quella
dell’improvvisazione di uno strumento, a volte quella di due o tre
strumenti. A volte ci porta a esprimerci secondo linguaggi più vicini al
jazz, in altre risente di contaminazioni ethno, Quindi come definire la
nostra musica? La nostra è semplicemente la musica dei Deja Vu.
Federico:
Esattamente! E protagonista, per me, è l’”incontro”. Cioè l’incontro
personale tra quattro persone e le loro capacità. Di cui fa parte la
conoscenza di ogni singolo strumentista, ovvero la propria passione per
la musica e la padronanza del proprio strumento, che si fonde dentro i
Deja Vù.
Gianni: A
me non piacciono le etichette e spesso far rientrare il nostro prodotto
creativo in un contenitore preciso non rivela nulla che ci riguardi.
I
colori delle percussioni sono cosa diversa dai suoni di una batteria,
così come il timbro della fisarmonica non ha nulla a che vedere con un
sintetizzatore.
Il basso di Jimmy è molto più di un supporto ritmico: è soprattutto canto melodico.
La chitarra classica arpeggiata è lontana dalle sonorità distorte e nevrotiche di una chitarra elettrica.
Il genere è acustico e direi “mediterraneo”.
Mi
piacerebbe poter dire “viscerale” più che “cerebrale” anche se gli
spazi dedicati all’improvvisazione rientrano in strutture compositive
precise.
Il
vostro disco è stato registrato in modo anomalo. Di solito si fa un
disco in studio di registrazione oppure si registra un concerto e poi lo
si pubblica. Per registrare “Deja Vù Quartet” è come se aveste invitato
il pubblico in studio di registrazione, definendo questa operazione
“Live recording”. Perché questa scelta?
Federico:
E’ piuttosto semplice spiegarlo, ma sicuramente farò confusione.
Innanzitutto è vero che il pubblico è un po’ come fosse sempre il
protagonista, è un po come se fosse un elemento, un musicista che suona
con noi. Ognuno fa la sua parte.
La
scelta di aver registrato dal vivo, in un luogo per noi familiare, in
cui ci sembrava di sentirci a casa, cioè a Piccola Piazza d’Arti, è
stata fatta perchè soltanto dal vivo riusciamo a esprimerci al meglio.
La connessione tra i nostri sguardi, tra i nostri strumenti e tra noi e
il pubblico ci permette di dare il meglio. La forma classica di
registrazione a tracce separate, per noi che siamo una band abbastanza
complessa a livello tecnico, sarebbe più improbabile e difficile. Quindi
la formula live è quella più efficace anche perchè iniziando a suonare
si crea un feeling tra di noi e questo feeling è proprio quello che da
la pulsazione ai brani stessi.
Piccola
Piazza d’Arti è una realtà piuttosto giovane che sta crescendo e
affinando le proprie proposte di “polo artistico di animazione sociale e
culturale” come si definisce. Come siete entrati in contatto con questo
luogo? Qual è il vostro legame con esso? Siete soddisfatti del
risultato ottenuto è del percorso di lavoro che ha portato alla
realizzazione del CD? Perché?
Fabrizio: Piccola
Piazza d’Arti è una realtà dove io e Federico abbiamo la fortuna di
insegnare e dove effettivamente tra colleghi e amici si sta molto bene.
Oltre a questo, anche lo spazio era adeguato a quello che cercavamo,
quindi la scelta è stata naturale per suonare insieme. Ci siamo trovati
molto bene, come spazio, sonorità e persone, anche con te Davide che
come fonico hai seguito tutti gli sviluppi di questo lavoro. E’ stata
una scelta azzeccata e che ha portato al risultato che speravamo. Noi ce
l’abbiamo messa tutta e anche chi era attorno a noi. Spero che la
realtà di Piazza d’Arti possa ospitare, come scuola di musica, altre
realtà di questo tipo, fare altre registrazioni e che ci sia tanta
musica sotto questo profilo all’interno di questo luogo.
Federico: per
me Piccola Piazza d’Arti è la realizzazione di un sogno coltivato per
tantissimi con tanti altri amici che collaborano come me dentro a questo
progetto. Tu Davide, poi Daniele e tanti altri. Essendo la
realizzazione di un sogno, siamo riusciti all’interno di questo luogo a
creare la stessa cosa. Perchè anche per noi questo cd era un sogno…
quindi diciamo che per noi Piazza d’Arti è un pò un grande “contenitore
di sogni”.
Gianni: Sono soddisfatto del nostro primo cd.
Nonostante
le imperfezioni di una registrazione live, nel disco è immortalata
l’intesa di noi quattro e la carica emotiva trasferita in tutti gli 8
brani.
Ringrazio “Piccola Piazza d’Arti” per aver reso possibile la realizzazione di un sogno.
Fabrizio
e Federico insegnanti nei corsi di musica che si svolgono nel centro,
hanno permesso a Jimmy e a me di conoscere questo luogo “magico” dove si
incontrano musicisti e artisti di ogni genere e dove abbiamo incontrato
Davide, il nostro tecnico del suono, preziosissima figura professionale
ed umana.
Dobbiamo alle sue competenze ed al suo contributo il buon risultato raggiunto nella registrazione del disco.
A
Piccola Piazza d’Arti ci sono tanti appassionati di musica che seguono i
nostri corsi. Qual è la cosa più bella della vostra personale relazione
con la musica che vorreste trasmettere a chi aspira a diventare
musicista e magari un giorno arrivare come voi a registrare la sua
musica?
Fabrizio: A
costo di sembrare banali, il mio personale pensiero è che la musica è
una passione ed è un divertimento farla insieme. A me personalmente
questo mi ha sempre ripagato di tanta fatica, di tanti sforzi fatti che
magari non sempre sono riconosciuti economicamente. Per cui la musica è
qualcosa che ti ripaga sempre. La cosa che dico ai ragazzi a cui insegno
o a quelli che volessero diventar musicisti (fra molte virgolette,
perché è un termine che vuol dire tutto e niente) o registrare la
propria musica, è di “darci sotto” perchè verranno sempre ripagati, nel
divertimento, nella passione, nel conoscere persone incredibili e
qualcosa di buono rimarrà sempre, soprattutto se si fa musica originale,
se si creano proprie idee e le si mettono a servizio di tutti.
Federico:
il consiglio è quello di ascoltare tanta musica sin da ragazzini,
cercare di identificarsi con un artista, un musicista, un genere
musicale; e suonare, incontrarsi, trovare la gente giusta conoscendosi
suonando, suonare tanto! Fare il musicista potrebbe non significar
nulla, perchè sono tempi strani e difficili, ma suonare e fare il
musicista potrebbe significare “sposare” la musica e immergersi in essa
totalmente.
Progetti prossimi e futuri?
Fabrizio:
Il primo progetto è il cd che abbiamo in mano. Vorremmo che più persone
possibili riuscissero ad ascoltarlo. Quindi il primo progetto è la
diffusione del nostro lavoro. Il prossimo evento del Déjà Vu Quartet
sarà un bellissimo concerto in piazzale Fellini all’interno di un
bellissimo contenitore che si chiama “Art word” che conterrà un concerto
diverso ogni sera, tante forme di arte e artigianato come dice lo
stesso titolo della manifestazione. L’appuntamento è il 27 luglio 2016
più o meno alle ore 21.00 per un nostro concerto con tante
sorprese che ora non possiamo svelarvi.
Federico: Venite a trovarci! Venite a trovarci!
Fabrizio:
Altri appuntamenti non meno importanti sono il 31 luglio alle ore 19.00
suoneremo al Giardino di Rimini e l’1 agosto al Bistrot il Lavatoio a
Santarcangelo.
Gianni: In
conclusione gli 8 brani del cd rappresentano solo una parte della
nostra produzione musicale. Mi piacerebbe far seguire a questo un
secondo cd che completi l’opera sempre con gli stessi amici e sempre
nello stesso luogo.
Ed in conclusione come è consuetudine dire: “Lunga vita ai Déjà Vu!”
Se sei interessato all’acquisto del CD puoi reperirlo nei seguenti modi:
– brevi manu tramite i componenti del gruppo
– vai ai loro concerti
– recati al Music Store di San Marino
– scrivi a dejavuquartet@libero.it
– telefona al 328 7094349 (Fabrizio)
– collegati alla pagina fb del gruppo: Dejavu quartet
Il per-corso si struttura in una serie di 5 incontri settimanali della durata di 1 ora e 45 minuti. Viene organizzato con gruppi chiusi di 8/10 coppie madre-bambino.
Descrizione:
Questo percorso consente di accompagnare nell’esogestazione, in modo appropriato e ludico, l’affermarsi della relazione madre-bambino per mezzo della voce e del canto, i primi strumenti della comunicazione umana. Il bambino viene sollecitato attraverso il massaggio vibratorio, prodotto dalla voce, nelle sue strutture sensoriali e nervose centrali più profonde e viene richiamato a quell’ascolto che gli è necessario per arrivare ad acquisire il linguaggio. Per la donna il canto rivolto al bambino è un’occasione per riportare il diaframma al suo nomale funzionamento, per ritonificare il pavimento pelvico, per riacquistare energia.
Nota:
La cornice teorico-metodologica di questi per-corsi è la Psicofonia, una disciplina
fondata in Francia nel 1960 da Marie-Louise Aucher, primo approccio funzionale al
canto, definita “ un percorso autosperimentale di armonia fisica e psichica che utilizza
a favore della voce parlata e cantata, le corrispondenze tra l’Uomo, i Suoni, i Ritmi
e la Parola, creando pazientemente una sintesi personale di conoscenza e di equilibrio”.
L’approccio psicofonetico si declina in molti percorsi, ha come obiettivo primario quello
di accompagnare l’ “Uomo sonoro” in un percorso in cui la voce sempre più timbrata
e ricca di armonici, viene apprezzata come il mezzo privilegiato di riconoscimento e di
espressione di sé.
I per-corsi sono condotti da Chiara Aldrovandi, musicoterapista, diplomata in Canto
Prenatale, Training psicofonetico per la preparazione al parto, Canto Postnatale
presso la Scuola Elementale d’Arte ostetrica (FI) e Accademia Internazionale di
Psicofonia-Esserevoce- di Elisa Benassi.
Questa attività si svolge presso il Centro E. Renzi di Riccione – Viale Battisti, 31
L’organizzazione ottimale di un percorso di Canto Prenatale prevede la formazione di gruppi chiusi composti da un massimo di 8 gestanti che partecipano a cicli di otto / dieci incontri settimanali consecutivi per ogni trimestre di gravidanza; ogni incontro prevede la durata di 1 ora e 45 minuti di lavoro. I gruppi possono essere composti dalle coppie in attesa o da sole mamme; nel secondo caso si propone la partecipazione ai papà ad alcuni incontri, definiti compatibilmente agli impegni di lavoro. E’ possibile scegliere di partecipare in modo continuativo a più cicli ed in tal caso le proposte seguiranno un’evoluzione e saranno sempre differenti.
Descrizione:
Il Canto Prenatale è una forma di accompagnamento alla gravidanza attraverso attività di armonizzazione corporea, vocalizzi e canti espressivamente rivolti alle gestanti e alle coppie in attesa. Rappresenta una modalità privilegiata di avvio della relazione circolare precoce che lega il padre, la madre, il bambino per mezzo della voce. E’ un percorso esperienziale di equilibrio e di incontro del bambino nel canto. Il Canto Prenatale ha come obiettivo primario quello di rendere consapevoli i genitori del fatto che la loro voce struttura il bambino accompagnandolo nella sua evoluzione biologica e psicologica. La voce dei genitori è dunque per il bambino un irrinunciabile richiamo alla vita oltre che un’impronta capace di marcarne l’esistenza in termini emotivi, affettivi e cognitivi. Il canto aiuta a vivere serenamente il tempo dell’attesa. La madre, attraverso il suono, sviluppa il suo sentire e la sua capacità di comunicare con il bambino prima e dopo la nascita. Il lavoro sul canto, sulla respirazione, sulla postura offre alla donna in gravidanza un utile e notevole conforto, riduce lo stress, favorisce l’accrescere del suo benessere moderando nel tempo le distonie psicocorporee. Le gestanti possono apprezzare il clima di fiducia, di ottimismo, di apertura alla vita, come pure la sensazione di liberare più facilmente le emozioni. Con proposte di attività specifiche per ogni trimestre si favorisce la presa di coscienza del corpo e del respiro. Vengono proposti vocalizzi di volta in volta mirati ad esplorare le zone di risonanza del corpo, a liberare i plessi nervosi, ad attenuare i disturbi somatici legati allo stomaco, a permettere il controllo del diaframma, ad ampliare la gamma espressiva. Le sedute comprendono il riscaldamento, le decontrazioni, le attivazioni necessarie per mettere lo strumento personale nella giusta disposizione alla fonazione. Il percorso di Canto Prenatale può svilupparsi lungo tutto il periodo della gestazione.
Nota:
La cornice teorico-metodologica di questi per-corsi è la Psicofonia, una disciplina fondata in Francia nel 1960 da Marie-Louise Aucher, primo approccio funzionale al canto, definita “ un percorso autosperimentale di armonia fisica e psichica che utilizza a favore della voce parlata e cantata, le corrispondenze tra l’Uomo, i Suoni, i Ritmi e la Parola, creando pazientemente una sintesi personale di conoscenza e di equilibrio”.
L’approccio psicofonetico si declina in molti percorsi, ha come obiettivo primario quello
di accompagnare l’ “Uomo sonoro” in un percorso in cui la voce sempre più timbrata
e ricca di armonici, viene apprezzata come il mezzo privilegiato di riconoscimento e di
espressione di sé.
I per-corsi sono condotti da Chiara Aldrovandi, musicoterapista, diplomata in Canto
Prenatale, Training psicofonetico per la preparazione al parto, Canto Postnatale
presso la Scuola Elementale d’Arte ostetrica (FI) e Accademia Internazionale di
Psicofonia-Esserevoce- di Elisa Benassi.
Questa attività si svolge presso il Centro E. Renzi di Riccione – Viale Battisti,31.
Il corso di violino è rivolto sia ad adulti che a bambini di ogni età, sia per coloro che si sono già dedicati allo studio dello strumento e della musica, sia per coloro che sono alle prime armi. L’obiettivo del corso è di avvicinare chiunque alla pratica strumentale in maniera piacevole, fornendo le necessarie nozioni di base. Una volta apprese le basi fornite dalla tecnica classica, il repertorio può variare in base alle richieste dell’allievo, dal repertorio violinistico classico, al repertorio folk, pop, irish e country. Le tecniche di insegnamento saranno personalizzate su ogni allievo, coniugando le modalità di insegnamento musicale alle nozioni di psicologia circa l’apprendimento, l’attenzione e la memoria.
I laboratori di danza popolare sono momenti di incontro, cultura e divertimento.Lo spirito che li anima non è solo quello di raggiungere un obiettivo didattico, ma quello di offrire un’occasione in cui prendersi una pausa e ritrovarsi insieme in allegria. Le danze popolari sono oggetti culturali che appartengono alla tradizione di un popolo. Alcune sono “rivisitate” con abbellimenti coreografici odierni pur mantenendosi strettamente fedeli alla cultura e al “modus” danzante popolare. Non richiedono capacità atletiche sofisticate, solo la voglia di mettersi in relazione con gli altri e con culture diverse dalla nostra.
Il canto è un’attività liberatoria, dona vitalità, permette di riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, è fonte di gioia e di benessere,in gruppo consente spazi di socializzazione e condivisione. Con il laboratorio si propone un’ attività di integrazione della voce, di armonizzazione corporea, con vocalizzi specifici e canti utilizzando gli strumenti della Psicofonia. La voce non è solamente il riferimento sintomatico del benessere o del malessere della persona, ma è anche e soprattutto la via attraverso la quale si rende possibile l’armonizzazione e l’equilibrio. Per partecipare non serve essere intonati o saper cantare
Si tratta di esprimersi nel movimento per sviluppare la propria creatività e soddisfare il piacere di inventare, da soli e nel gruppo, guidati da vari stimoli. Il gruppo si relaziona al corpo, allo spazio, alla musica, agli oggetti e ai materiali artistici.